Nobel a Katalin Karikò

Il 2 ottobre scorso è stato assegnato il Nobel per la Fisiologia e la Medicina a Katalin Karikó e Drew Weissman: una notizia meravigliosa per diversi motivi. Non si tratta solo di un riconoscimento allo straordinario contributo della ricerca scientifica durante la pandemia; è anche un inno alla libertà di studio e al metodo della scienza. Di Karikò e della sua incredibile storia ho a lungo parlato durante il Concerto della vita di Rimini del 28 febbraio di quest’anno, presentandola come esempio di dedizione e tenacia, di passione e perseveranza. 

Katalin Karikò, classe 1955, è una biochimica ungherese, tra le pioniere degli studi sull’RNA, oggi alla base dei vaccini anti Covid-19 e al centro di studi per lo sviluppo di vaccini contro il cancro e altre malattie. La sua intuizione di utilizzare questa molecola a scopo terapeutico non ebbe però da subito il successo che le ha permesso di conquistare il Nobel. Al contrario: sono trascorsi trent’anni prima che la sua idea trovasse applicazione. Trent’anni in cui Karikò non ha mai perso di vista l’obiettivo, nonostante il disinteresse dei colleghi, i finanziamenti persi, le porte sbarrate e i fallimenti. Negli anni ’80, per poter continuare le sue ricerche, emigrò con la famiglia dall’Ungheria agli Stati Uniti, nascondendo tutti i suoi risparmi nella fodera dell’orsacchiotto di peluche della figlia Susan, che all’epoca aveva solo due anni (oggi due volte campionessa mondiale di canottaggio). Negli USA, Karikò lavorò come ricercatrice alla Temple University di Philadelphia. Anche qui, per anni, i suoi studi sull’RNA non ottennero i risultati sperati: le molecole che produceva in laboratorio si degradavano troppo in fretta; in alcuni casi venivano rigettate dal sistema immunitario.

Solo nel 2005 Karikò e l’immunologo Drew Weissman capiscono quali specifiche micromodifiche al nucleoside dell’RNA sono necessarie per renderlo invisibile al sistema immunitario e, quindi, un perfetto vettore per terapie innovative. Ma anche questa scoperta non riceve l’attenzione sperata dalla comunità scientifica. Poi, nel 2013, Ugur Sahin le offre di entrare in BioNTech, una start up che aveva fondato cinque anni prima, per studiare l’efficacia dell’RNA in vaccini anticancro. Tre anni fa, gli studi e le sperimentazioni vengono adattati al nuovo nemico da sconfiggere: SARS-CoV2. È solo grazie a questi decenni di ricerche che nel febbraio 2020, mentre l’umanità era prossima ad una tragica “chiusura” e alla perdita di molte vite, Karikó e gli altri scienziati di BioNTech stavano già disegnando in un tempo record il primo vaccino a mRNA per il Covid-19. Dietro a questo c’erano 30 anni pieni di esperimenti, di prove, di studiosi, di cadute e di nuovi inizi.

Racconto spesso questa storia per spiegare come i “momenti di coraggio” di fronte a strade accidentate e incerte siano spesso la base di imprese grandiose, non solo scientifiche, in grado di lasciare il segno. La racconto affinché la perseveranza e l’ostinazione di questa grande scienziata possano essere di ispirazione per quanti di noi studiano malattie ancora senza cura, come l’Huntington, ma non solo l’Huntington. La racconto affinché promuova la speranza per quanti, fuori dai nostri laboratori, attendono fiduciosi di poter parlare delle malattie loro, e dei loro cari, al passato. Come tutti noi, oggi, della pandemia.

Elena Cattaneo