Nancy Wexler in Venezuela
“Let’s go to Venezuela!”, “Andiamo in Venezuela!” Poche, semplici parole che, proprio grazie alla loro semplicità, hanno rappresentato per innumerevoli scienziati l’esatto momento in cui partire con Nancy Wexler verso strade inesplorate. L’appello di Nancy ha segnato il punto di partenza per affrontare la malattia di Huntington e costruire nuova conoscenza. Ma chi era questa donna che esortava ad interessarsi a questa malattia sconosciuta?
Nancy nasce in California, negli anni ’70 e vive a Los Angeles, insieme alla sorella Alice, il padre Milton e la madre Leonore. Fu per via della mamma che Nancy conobbe, purtroppo molto da vicino, la malattia. Leonore era infatti malata di Huntington, aveva già perso i tre fratelli ed il padre per la stessa malattia. Come molti altri allora, e ancora troppe persone oggi, fu stigmatizzata e a lungo considerata “impazzita” o “alcolizzata” per via dei sintomi che presentava e per come si erano manifestati, ma in realtà era vittima di una condizione medica allora praticamente sconosciuta. L’ignoranza porta gli esseri umani a sbagliare, a farsi guidare dall’istinto e dai pregiudizi, a mettere in atto comportamenti che aumentano la separazione e le difficoltà per persone già ingiustamente colpite. In quegli anni, la famiglia decise di agire. Milton, padre di Nancy, fonda la Hereditary Disease Foundation (HDF) per sensibilizzare la comunità civile alla condizione della moglie. La Fondazione cresce e attira interesse, amici e conoscenti, soprattutto da Hollywood, un ambiente nel quale il padre di Nancy era un riconosciuto e rispettato psicoanalista. Il famoso architetto Frank Gehry, tuttora grande amico di Nancy, si unisce alla lotta contro la malattia e diventa uno dei co-fondatori della HDF. Nancy, dopo aver concluso gli studi in psicologia, sentii la necessità di impegnarsi personalmente e fece della dedizione verso questa malattia il suo obiettivo e il suo orgoglio.
Iniziò a viaggiare per varie università americane allo scopo di reclutare compagni di viaggio, scienziati, giovani disposti ad investire le loro energie per capire quale fosse l’origine della malattia di Huntington. Studiando, Nancy aveva intuito che in alcuni villaggi di pescatori sulle sponde del lago Maracaibo in Venezuela potevano esserci le risposte che cercava. In quelle zone, a causa dell’isolamento derivante dalla mancanza di conoscenza e dalla crudele credenza che i malati di Huntington fossero “posseduti dal demonio”, si erano creati interi villaggi nei quali si riscontravano sintomi legati alla malattia in centinaia e centinaia di membri della popolazione. Nancy cominciò a frequentare queste persone e tra loro si creò un vero e proprio legame di fiducia reciproca, al punto che molti di loro scelsero di donare il loro sangue agli studiosi ‘arruolati’ da Nancy, permettendo loro di studiarne il DNA per capire l’origine genetica della malattia.
Tuttavia, a metà degli anni ’70, le tecnologie a disposizione erano ancora estremamente limitanti e identificare mutazioni genetiche era un ostacolo imponente e difficile da superare. Furono necessari tredici anni perché i “Gene Hunters”, “i Cacciatori di Geni”, riuscissero a identificare il gene la cui mutazione è responsabile della malattia. Tredici anni di esperimenti, di strade che sembravano senza uscita, tredici anni di rotte abilmente ridisegnate dalla squadra coordinata da Nancy raccolte in un libro, di facile lettura, “Gene hunter: the story of neuropsychologist Nancy Wexler” (2005). E proprio in quelle pagine viene ricordato il momento in cui quel gene finalmente apparve davanti agli occhi di coloro che per tredici anni avevano speso tutte le energie nella sua ricerca. Nancy era ad un congresso in Colorado. A notte fonda da Boston cercavano di chiamarla, di contattarla per dirle “l’abbiamo trovato”. Senza esito. Contattarono addirittura i rangers per andare a svegliarla e dirle di richiamare il laboratorio a Boston. Ma Nancy non richiamò, pensò che aspettare la mattina dopo fosse la stessa cosa, mai si sarebbe aspettata che, dopo tredici anni, la stessero chiamando per dirle quello che aveva sempre sognato di sentire: “L’abbiamo trovato”. Non poteva sapere che a Boston, in quel momento, avevano davanti agli occhi la sequenza del gene responsabile della malattia di Huntington.
Ma l’impegno e l’innovazione tecnologia rivolti alla ricerca di questo gene gettarono i semi per un azzardo ancora più imponente, alla frontiera di quello che la scienza all’epoca poteva a malapena immaginare: se dallo sforzo collettivo guidato da Nancy si era arrivati all’identificazione di uno tra i 30mila geni che popolano il nostro genoma, cioè di alcune migliaia di lettere (nucleotidi) tra i 3.2 miliardi che compongono il nostro genoma, allora forse la scienza poteva arrivare a leggerli tutti, quei miliardi di nucleotidi del genoma umano. Si era aperta l’era della genomica di cui questo secolo è il propulsore. Anche grazie a quei primi, pionieristici studi, negli anni 2000 si arrivò al completamento dello Human Genome Project, uno dei più grandi progetti scientifici mai realizzati a livello globale per studiare in modo dettagliato il nostro DNA.
Nancy non fu solo una pioniera della ricerca sull’Huntington ma lo fu dell’intera scienza. E lo fu soprattutto dal punto di vista umano. La razionalità e l’integrità scientifica che Nancy possedeva e che le permisero di coordinare questa estenuante ricerca del gene malato coesistevano con la sua forte umanità ed empatia, caratteristiche altrettanto essenziali che le hanno permesso di creare una comunità al servizio dei malati. Nancy è sempre stata generosa con abbracci, carezze, baci, sorrisi. L’impegno di Nancy non solo trovò un impiego nella ricerca, ma la portò a diventare co-fondatrice della Casa Hogar Corea de Huntington “Amor y fe”, una casa di “ritrovo e cura” costruita in quella zona del Venezuela caratterizzata da povertà e speranza, a sostegno dei malati del luogo.
La storia del legame tra Nancy ed i venezuelani rimane fonte di ispirazione non solo per la comunità Huntington. È simbolo di coraggio, di solidarietà, di fiducia, di umanità. Questa storia rappresenta un esempio di quanto lontano si possa arrivare se si lavora uniti. Se Nancy non avesse ispirato con la sua semplicità le decine di scienziati che la seguirono, forse il gene responsabile della malattia sarebbe ancora ignoto. Se i malati venezuelani non si fossero fidati tanto profondamente di Nancy, il loro sangue non sarebbe stato il trampolino dal quale ci si è potuti lanciare nella sfida dell’ignoto alla ricerca di risposte. Se il mondo fosse rimasto chiuso nei propri confini e avesse continuato a percepire il “diverso” come lontano e inconciliabile, non avremmo mai saputo che quel gene, che quando muta provoca la malattia di Huntington, lo abbiamo tutti noi nel nostro genoma. Se il gene non fosse stato scoperto, non avremmo nemmeno mai saputo che, forse, quella mutazione non è solo una malattia da vincere, ma anche il risultato di una spinta evolutiva che ci accomuna a coloro che, oggi, per un pugno di CAG in più in quel gene, pagano un duro prezzo per tutti noi.
“The Gene Hunters” – il gruppo di studiosi da istituti, paesi e continenti diversi che, a fine anni 70, seguì Nancy in Venezuela alla ricerca del gene responsabile della malattia di Huntington