Durante l’Huntington’s Disease Therapeutic Conference tenutasi a febbraio a Palm Spring, California, uno dei temi che ha riscosso maggior interesse da parte della comunità scientifica mondiale che studia la Malattia di Huntington (MH) è quello dell’instabilità del DNA. Ma cos’è e perché è diventato un aspetto centrale nella MH?
Tutto parte dal DNA, la molecola della vita che contiene 3 miliardi di lettere (nucleotidi) necessarie a far sì che le cellule che compongono il nostro corpo esistano e funzionino nel modo corretto. È difficile pensare che il DNA, una molecola così preziosa, precisa e funzionale nel determinare gran parte di quello che siamo, possa essere “instabile”, cioè modificarsi leggermente. In realtà è proprio così. Nasciamo ciascuno con il proprio DNA, molto simile tra individui, ma sufficientemente diverso da renderci unici. Ebbene, nel corso della nostra vita, il contenuto del DNA nelle cellule dei tessuti e organi di ciascun singolo individuo, che credevamo tutte uguali l’una all’altra per quella molecola essenziale, varia leggermente in alcuni punti. Infatti, alcune regioni del DNA sono estremamente dinamiche. Questi cambiamenti avvengono in una scala temporale molto ampia, ma è ormai chiaro che alcuni tratti del DNA possono subire delle modifiche anche durante la vita di ciascuno di noi.
Ad esempio, quando ci esponiamo a raggi ultravioletti senza proteggere la pelle, è possibile che alcune lettere del DNA in alcune cellule della nostra pelle, vengano “danneggiate”. Proprio perché la molecola della vita (il DNA) è suscettibile ad essere danneggiato, le cellule del nostro organismo nell’evoluzione si sono dotate di “strumenti riparatori”. In sintesi, il genoma deve essere costantemente controllato e in caso di danno, essere prontamente riparato. Con questo processo dinamico il DNA può continuare a passare il testimone alla molecola successiva, ad ogni divisione delle nostre cellule.
Al fine di garantire che tutto questo funzioni correttamente, ognuno di noi possiede nelle sue cellule un’intera task force di geni, anche loro codificati dal linguaggio del DNA, che producono proteine in grado di rilevare il danno, tagliarlo nel punto specifico per rimuovere l’errore, e ricucirlo per farlo funzionare nuovamente. Sono circa 100 nel nostro DNA i geni riparatori. Il macchinario del riparo compie veramente cose straordinarie, ma a volte può fallire nel riconoscere e riparare le modifiche che si generano nel DNA. Quando alcuni di questi gene riparatori non funzionano, si sviluppano crescite aberranti delle cellule fino a produrre formazioni tumorali.
In prossimità dei tratti CAG il DNA è intrinsecamente molto a rischio di errori. Questi tratti, come tutti i tratti di genoma ripetuti, per le loro caratteristiche chimico-fisiche, sono difficili da mantenere stabili. In questi punti quindi si introducono errori, come ad esempio l’allungamento del CAG nel gene Huntington. Questo avverrebbe, si scopre, nelle cellule del nostro organismo, della pelle o del sangue. Nella MH infatti la task force deputata al riparo di questi errori fallisce nel suo tentativo di mantenere immutata questa grossa regione genomica e, quando si ha un’espansione della tripletta, il tratto viene detto instabile. Non succede sempre, anzi. Non succede in tutte le cellule. Ma i ricercatori ritengono che questo tratto che si allunga per errori nel meccanismo riparativo possa avere un peso importante nella malattia e sia il punto da colpire.
Alla conferenza di Palm Springs sono stati mostrati alcuni dati che sostengono l’ipotesi che questa instabilità del tratto CAG sia responsabile della fase finale della malattia, con la degenerazione dei neuroni che compongono le varie aree del cervello. Alcuni neuroni sembrano infatti essere più sensibili all’instabilità e la loro personale task force di geni riparatori sembra essere meno capace di mantenere il tratto CAG stabile nel tempo rispetto ai neuroni di altre aree cerebrali. Ciò si traduce in un aumento lento ma graduale del numero di ripetizioni del tratto CAG in alcune cellule del cervello che, per fortuna, ne ha miliardi e può tollerare per molti anni anche questi accumuli “tossici” di troppe ripetizioni. Il cervello diventa una sorta di grande mosaico in cui le tessere che lo compongono hanno sfumature diverse una dall’altra. È bene sottolineare che il mosaicismo cerebrale (cioè il fatto che le tante cellule del nostro cervello posseggano ciascuna un DNA molto simile ma non identico) è una caratteristica di tutti. Anche ora, mentre leggiamo, la task force in alcuni nostri neuroni è attiva nel riparare le ultime “sviste”. L’instabilità somatica nel contesto della MH è diventata sempre più interessante negli ultimi anni, poiché si sta comprendendo che alcuni sintomi clinici, come l’anticipazione o il ritardo dell’insorgenza dei sintomi della MH, possono essere influenzati da una serie di fattori ancora in fase di studio, che in qualche modo interagiscono con il DNA e la task force che ripara i suoi danni. L’instabilità del tratto CAG nella malattia è quindi sotto attento scrutinio e molti ricercatori stanno cercando di intervenire sui geni che compongono la task force di riparo al DNA, per rafforzarne la funzione.
Approfondire questo argomento risulta ora più che mai fondamentale, poiché ha come obiettivo lo sviluppo di nuovi farmaci in grado di bloccare l’espansione del tratto CAG prima che possa verificarsi. I meccanismi alla base di questi errori e delle inefficienze “riparative” sono molto studiati in altri ambiti, come il cancro. Anche il nostro laboratorio sta studiando l’instabilità del tratto CAG in collaborazione con un gruppo dell’IFOM di Milano, specializzato in tumori. La collaborazione tra ricercatori che lavorano su malattie diverse aiuterà a esplorare questa nuova strada, che non sostituisce le altre già in corso, ma permette l’indagine di ulteriori strategie e opportunità di intervento fino a poco tempo fa impensabili.
Andrea Scolz, Michela Villa, Paola Conforti
Università di Milano