Aprile 2024
27-29 febbraio 2024. Palm Springs, California. 19th Annual HD Therapeutics Conference.
Un rito quasi, che si ripete per la diciannovesima volta e che rappresenta uno degli eventi più attesi dalla comunità scientifica mondiale che studia la Malattia di Huntington (MH). Il luogo è sempre lo stesso, quasi a ridurre le novità del posto per concentrarsi su quelle della scienza. Lì, a febbraio di ogni anno, centinaia di studiosi provenienti da tutte le aree geografiche del mondo si danno appuntamento per la Huntington’s Disease Therapeutics Conference.
Tre giorni di frequentazione e scambio tra centinaia di ricercatori da tutto il mondo che si incontrano in mezzo al deserto californiano annullando le distanze fisiche che li separano quotidianamente. Lì viene allestito un grosso tendone bianco su un ampio prato verde da cui spuntano alte verso il cielo un numero incalcolabile di palme. Naturalmente non ci sono porte ma, lì sotto, solo una distesa di tavoli e sedie, tutti puntati verso il palco e lo schermo gigante. Anche noi eravamo lì. In nove dal nostro laboratorio siamo partiti con i dati e le ricerche che portiamo avanti quotidianamente. Eravamo pronti a discutere assieme agli altri scienziati che, proprio come noi, erano lì per fare lo stesso.
Questo è un evento che rappresenta un punto cardine per presentare e discutere i dati raccolti dagli scienziati nell’ultimo anno e valutarne insieme la validità, i pareri e i suggerimenti su come impiegarli per avanzare verso l’identificazione di una terapia efficace che possa rallentare, bloccare i sintomi della MH o posporne l’insorgenza. Qui tutti gli sguardi e le orecchie degli innumerevoli partecipanti sono diretti verso chi presenta i dati. Nell’aria solo il rumore delle penne impegnate su fogli bianchi e dei tasti dei computer pigiati con frenesia per prendere appunti.
L’agenda è fittissima di presentazioni, riunioni, discussioni, momenti per interagire e creare nuove collaborazioni. Qui di seguito si riportano alcune delle sessioni e dei punti focali emersi e che reputiamo più interessanti.
Parte del primo giorno è stato incentrato sullo studio del gene mutato da cui si produce la proteina Huntingtina mutata. Il gene è un pezzo di DNA che tutti noi abbiamo e che contiene un particolare tratto CAG la cui ripetizione eccessiva, sopra una certa soglia, determina lo sviluppo della MH. Diverse sono le sperimentazioni cliniche attive che ambiscono a diminuire proprio la quantità di proteina mutata prodotta dal gene Huntington mutato. Alcune presentazioni si sono focalizzate sul capire di quanto si debba ridurre la proteina per neutralizzarne gli effetti tossici.
In base ad alcuni studi sembrerebbe che diminuire la quantità totale di proteina Huntingtina sotto il 50% non sia benefico. Dal punto di vista terapeutico, quindi, abbassare così tanto i livelli della proteina non è funzionale. Questi dati sono incoraggianti dato che gli strumenti sviluppati nelle diverse sperimentazioni cliniche sopracitate comportano, di fatto, una diminuzione della proteina più blanda del 50%. Questo non è inaspettato in quanto la riduzione della produzione di una proteina è sempre difficile da ottenere. Quindi i gruppi continueranno a lavorare per valutare l’efficacia clinica di una riduzione minore al 50%.
Un altro argomento molto interessante trattato nella conferenza riguarda il fatto che la proteina Huntingtina sana svolge innumerevoli ruoli essenziali all’interno delle cellule. Per svolgere tutte queste funzioni, l’Huntingtina ha bisogno di proteine che l’aiutino nella sua funzione fisiologica. Scoprire quali siano le proteine che collaborano con l’Huntingtina è fondamentale per la ricerca di nuovi target terapeutici. Infatti, identificare quelle proteine aiutanti non più in grado di svolgere il loro lavoro correttamente in presenza del tratto CAG espanso, potrebbe portare a identificare nuovi bersagli contro cui sviluppare future terapie.
Una sessione è stata interamente dedicata alla nuova frontiera dell’instabilità del DNA, ed in particolare del tratto CAG nel gene dell’Huntingtina che, nella MH, va incontro ad un’eccessiva espansione. In altre parole, abbiamo sempre pensato che tutte le cellule di un individuo avessero esattamente lo stesso DNA. È naturale pensarlo proprio perché ereditiamo quel DNA e tutte le nostre cellule lo possiedono, uguale. Tuttavia, stiamo imparando che alcune cellule dell’organismo possono contenere leggere varianti nel DNA ereditato. In particolare, alcuni studi hanno dimostrato che il tratto CAG, quando già espanso, tende ad essere “instabile” e quindi ad espandere ancora di più in alcune cellule. Poiché la dimensione del tratto CAG nel gene Huntington è centrale nel determinare i sintomi della MH, tantissimi scienziati si stanno dedicando a trovare strategie per combattere questa espansione, bloccarla e magari riuscire anche a produrre una sua contrazione. Anche il nostro laboratorio sta lavorando in questa direzione. Alcuni colleghi hanno presentato dati ottenuti tramite l’impiego di nuove tecnologie che permettono di effettuare uno studio talmente dettagliato da poter ottenere un’enorme quantità di informazioni a livello di singoli neuroni (ricordiamoci che solo nel nostro cervello abbiamo indicativamente ben 85 miliardi di neuroni!), allo scopo di identificare quali tendono ad espandere eccessivamente il tratto CAG. Ciò diventa estremamente utile per capire e sviluppare possibili trattamenti che tengano conto del tipo di neuroni da “guarire” per agire sui sintomi della malattia.
Un altro studio ha ricordato che affinché i neuroni possano sopravvivere e comunicare in modo organizzato e funzionale tra di loro, hanno bisogno di un sostegno che arriva da altre cellule. Queste cellule sono gli “astrociti”, chiamati così poiché la loro forma ricorda proprio quella che riconduciamo comunemente ad una stella. Durante la conferenza si è ricordato che anche gli astrociti presentano alcune alterazioni nella loro funzionalità quando il gene Huntington è presente. Uno studio in particolare ha mostrato come gli astrociti nella MH attivino tutta una serie di cambiamenti interni per cercare di sopperire alle difficoltà di comunicazioni a cui vanno incontro i neuroni, riportando quindi attenzione da un punto di vista terapeutico anche a questo particolare tipo di cellule.
Una ulteriore sessione, infine, è stata dedicata al passaggio dal gene alla clinica, sia da un punto di vista concettuale che pragmatico. Molti scienziati si sono interrogati sulla possibilità di modulare i livelli di alcune proteine coinvolte nell’instabilità del tratto CAG del gene Huntington di cui parlavamo sopra. Alcuni studi presentati hanno mostrato che i livelli di queste particolari proteine determinano l’instaurarsi di un’eccessiva espansione, altre invece sembrerebbero diminuirla o almeno rallentarla. Ipotizzare terapie che vadano ad abbassare o alzare i livelli di questi candidati potrebbe essere una strategia valida per bloccare a monte gli effetti deleteri del gene Huntington.
A chiusura, un’intera sessione è stata dedicata alla condivisione di nuove informazioni raccolte nelle sperimentazioni cliniche attualmente attive per la MH. Si è discusso dei trial clinici di UniQure. I partecipanti che hanno ricevuto l’iniezione del farmaco AMT-130 per ridurre i livelli di proteina Huntingtina tossica, non hanno avuto effetti collaterali. Le sperimentazioni stanno continuando e a giugno 2024 ci sarà un nuovo aggiornamento sui dati clinici.
La sperimentazione di PTC Therapeutics, che prevede la somministrazione orale di PTC-518 sempre allo scopo di diminuire i livelli di proteina Huntingtina tossica, ha mostrato dati preliminari sulla modulazione dei livelli di Huntingtina nel sangue. Nel prossimo aggiornamento speriamo possano esserci dati a dimostrazione di una diminuzione dei livelli della proteina nel cervello. Per ultimo, il colosso Roche che sta portando avanti l’impiego del farmaco Tominersen, ha comunicato che il reclutamento per la nuova sperimentazione chiamato GENERATION-HD2 sta procedendo in tutto il mondo e che sono già stati selezionati più della metà dei partecipanti necessari.
La conferenza ha sottolineato ancora una volta, l’importanza di discutere i dati in modo trasparente e senza timore, condividendoli da un palco affinché siano visti e discussi da migliaia di occhi. È questo il metodo migliore per arrivare ad una cura. Una comunità scientifica così unica e forte è la migliore garanzia che abbiamo per raggiungere quell’obiettivo. Un tessuto umano, fatto di persone e vite che, come singole fibre, si intrecciano tra loro condividendo tutto ciò che possiedono, idee, tempo, sangue e loro stessi, per raggiungere la conoscenza necessaria a vincere la malattia prima possibile.
Andrea Scolz, Michela Villa, Paola Conforti
Università degli Studi di Milano